Il trasferimento di azienda
11 giugno, 2019

Il trasferimento di azienda

Nell’ambito di questi nostri periodici incontri, divenuti ormai una prassi, desideriamo condividere, in una serie di 6 articoli suddivisi in 13 argomenti, alcune considerazioni e riflessioni su di un tema che riveste sempre un particolare interesse:

il trasferimento d’azienda

Come d’uso, cercheremo di “ancorare” tali riflessioni alle più recenti pronunce della Giurisprudenza in materia, ma, stante l’ampiezza del tema, si impone la trattazione per capitoli.

Indice

1.                  Osservazioni generali e la norma regolatrice

2.                  La nozione di trasferimento d’azienda

3.                  Il titolo del trasferimento

4.                  Casistica

5.                  Il trasferimento di parte dell’azienda

6.                  Cessione d’azienda e successione nell’appalto

7.                  La procedura di informazione e consultazione sindacale

8.                  La continuazione dei rapporti di lavoro

9.                  La conservazione dei diritti

10.              Il contratto collettivo applicabile ai lavoratori trasferiti

11.              La responsabilità solidale del cessionario

12.              Il trasferimento di azienda in crisi

13.              I termini di impugnazione del trasferimento d’azienda


1.             Osservazioni generali a norma regolatrice

Il trasferimento d’azienda è l’atto giuridico con cui si determina la successione, a titolo particolare (v. cap. 3), del cessionario al cedente nella titolarità dell’azienda o di parte di essa.

Esso si annovera, quindi, tra le modificazioni soggettive del rapporto di lavoro.

La fattispecie è espressamente regolata, con riguardo ai rapporti di lavoro, dall’art. 2112 del Codice Civile.

La norma poggia su due principi cardine: la continuazione dei rapporti di lavoro e la conservazione dei diritti.

Ed è in forza di tali principi che si ritengono pacificamente inapplicabili ai rapporti di lavoro, in caso di trasferimento d’azienda, le disposizioni di cui agli artt. 1406 e 2558 del codice civile.

La prima di tali disposizioni regola la cessione del contratto e prevede il diritto del terzo contraente ceduto (il lavoratore) di esprimere il consenso alla cessione.

La cessione d’azienda determina, con riferimento al lavoratore, la successione legale nel contratto di lavoro, con conseguente esclusione, ai fini del perfezionamento del contratto di cessione, del consenso del lavoratore ceduto, che potrà successivamente esercitare il proprio diritto di recesso nei termini sanciti dal comma 4 dell’art. 2112 c.c.” (Cass. Sez. Lav. 19 gennaio 2018 n.1382).

La seconda, disciplina la successione nei contratti in caso di trasferimento dell’azienda ed è appunto ritenuta del tutto inapplicabile al rapporto di lavoro, essendo la norma di cui all’art. 2112 c.c. ritenuta norma speciale, ovvero norma che detta una disciplina completamente autonoma.

                                                                §

2.                  La nozione di trasferimento d’azienda

E’ interessante sottolineare come la disciplina comunitaria (e le relative pronunce della Corte di Giustizia) abbiano apportato nuovi e rilevanti concetti per l’identificazione della fattispecie del trasferimento di azienda.

In particolare, la Corte di Giustizia ha stabilito che, per applicare le garanzie della Direttiva n. 23 del 2001 (sul trasferimento d’azienda) è necessario che “oggetto del trasferimento” sia l’ “entità economica organizzata, intesa quale complesso di persone ed elementi – patrimoniali e non patrimoniali – i quali consentano l’esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo” (Corte di Giustizia CE 2.12.1990; Corte di Giustizia CE 10.12.1998).

In attuazione della Direttiva Comunitaria il legislatore italiano ha modificato il testo dell’art. 2112 cod. civ., con il D. Lgs. n. 276/2003, laddove si precisa che la disciplina ivi contenuta si applica quando oggetto del trasferimento sia una “attività economica organizzata”.

Leggesi, infatti, nel testo in vigore dell’art. 2112 c.c., V° comma, che:

Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di una attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di una attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.

La Corte di Cassazione ha quindi precisato che

Per ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone, comunque, una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (potendo conservarsi solo qualcosa che già esiste) e non anche una struttura produttiva creata ‘ad hoc’ in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, dovendosi ritenere preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici ovvero di articolazioni non autonome” (Cass. Sez. Lav., 30 gennaio 2018, n. 2280).

Ed ancora:

In materia di trasferimento d’azienda o di parte (c.d. ramo) di essa, tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e 2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112, comma quinto, cod. civ., sostituito dall’art. 32 del d. lgs. 10 settembre 2003 n. 276) perseguono il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva, osservando che la citata direttiva del 1998 richiede, pertanto, che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria, e, analogamente, l’art. 2112, comma quinto, cod. civ. si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”.

(Cass. Sez. Lav. 5 giugno 2018, n. 14390).

Per finire con una nozione di ramo d’azienda ‘dematerializzato’:

E’ legittima la cessione, come ramo d’azienda, di una struttura dematerializzata costituita prevalentemente da rapporti di lavoro organizzati in modo idoneo, anche potenzialmente, allo svolgimento di una attività economica, a condizione che i lavoratori ceduti costituiscano un gruppo coeso per professionalità, con precisi legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifico know-how tali da individuarli come una struttura unitaria funzionalmente idonea e non come mera sommatoria di dipendenti.

Incombe sul datore di lavoro che intende avvalersi degli effetti previsti dall’art. 2112 c.c. fornire la prova che i lavoratori ceduti facessero parte del ramo ceduto”.

(Cass. Sez. Lav. 28 agosto 2018, n. 21264).

Risulta così superato il tradizionale concetto di azienda di cui all’art. 2555 c.c. (complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa) e si va più verso la definizione di imprenditore di cui all’art. 2082 c.c. (chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o lo scambio di beni o di servizi).


Paolo Ferraresi