AGENTE DI COMMERCIO O LAVORATORE SUBORDINATO?
25 giugno, 2021

AGENTE DI COMMERCIO O LAVORATORE SUBORDINATO?

Con la sentenza n. 166/2019 il Tribunale di Treviso, Sezione Lavoro, ha avuto occasione di delineare le differenze tra il rapporto di agenzia ed il rapporto di lavoro subordinato.

Nella fattispecie un agente ‘generale’ aveva svolto per oltre 10 anni funzioni di capoarea, coordinando l’attività degli agenti di zona e percependo una provvigione per tutti gli affari conclusi in una macro-area includente più regioni italiane.

Al termine della collaborazione la società mandante corrispondeva all’agente tutte le spettanze di fine rapporto.  Tuttavia quest’ultimo decideva di promuovere una causa avanti il Giudice del Lavoro, chiedendo che venisse accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso e domandando che la mandante fosse di conseguenza condannata a pagare differenze retributive, regolarizzazioni contributive, nonché rimborsi spese di trasferta ed altri costi da lui sostenuti in corso di rapporto.

 

Come noto il rapporto di agenzia è tipicamente regolato dal codice civile agli art. 1742 e segg., e l’agente di commercio è quel soggetto imprenditore autonomo che assume l’incarico, per conto di un operatore economico, c.d. mandante o preponente, di promuovere la conclusione di contratti in una determinata zona verso retribuzione. Molti aspetti del rapporto di agenzia trovano dettagliata disciplina nella contrattazione collettiva (in particolare l’A.E.C. 30.7.2014 per gli agenti del Settore Industria e l’A.E.C. 16.2.2009 per gli agenti del Settore Commercio).

Ai sensi dell’art. 2094 c.c., viceversa, è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.

 

A supporto della propria tesi secondo cui il rapporto di agenzia intercorso andava qualificato come di natura subordinata, nonostante la formale chiara configurazione del contratto, l’agente aveva evidenziato come la mandante avesse tenuto, in corso di rapporto, una condotta pressante e a suo dire vessatoria nel pretendere da lui il miglioramento dei fatturati nella propria area, e insistente nel richiedere il raggiungimento dei budget così come la comunicazione dei programmi settimanali delle visite ai clienti, in affiancamento agli agenti di zona: più in generale quale fosse la sua programmazione degli impegni di lavoro nell’area assegnata.

La natura di lavoro subordinato era stata inoltre dedotta dal fatto che all’inizio del rapporto l’agente fosse plurimandatario, mentre successivamente la mandante lo aveva indotto ad accettare di operare come monomandatario, cioè in esclusiva per l’azienda, con relativa modifica del contratto di agenzia.

L’ulteriore argomentazione utilizzata dal ricorrente è consistita nel sostenere che altri capo-area della mandante, con i quali egli doveva interfacciarsi, fossero inquadrati come lavoratori subordinati. E pertanto, se questi ultimi erano lavoratori dipendenti pur svolgendo le sue medesime attività e funzioni, egli deduceva in ricorso che anche il proprio rapporto con la mandante avrebbe dovuto essere qualificato come di lavoro subordinato.

 

L’impresa mandante si è difesa affermando come i rispettivi diritti ed obblighi previsti dal contratto rispecchiassero pienamente la tipologia contrattuale scelta, cioè il rapporto di agenzia commerciale, e che lo stesso si era svolto nel rispetto dell’autonomia economica e organizzativa che tipicamente caratterizza l’agente di commercio. Oltre ad un trattamento provvigionale variabile corrispondente al tipo contrattuale dell’agenzia, nel quale l’agente è partecipe del rischio connesso ai risultati di vendita.

I solleciti rivolti dalla mandane all’agente affinché comunicasse i propri spostamenti o rendesse noti i programmi di visita ai clienti avevano, a detta della mandante, soltanto la finalità di migliorare il coordinamento del lavoro e di favorire, anche nell’interesse stesso dell’agente, i migliori risultati di fatturato nella zona, senza che la mandante intendesse imporre in termini vincolanti un’agenda degli impegni e delle scadenze, o esercitare un potere di controllo continuativo.

Il mutamento del rapporto da plurimandato a monomandato, invece, era secondo l’impresa la normale conseguenza della propria crescita nel corso degli anni e della necessità che soggetti chiave nella rete commerciale, come i capo-area, si dedicassero per intero a tale attività, visto l’allargamento progressivo dell’area assegnata e l’aumento progressivo del fatturato e della clientela. In aggiunta, argomentava la mandante, le eventuali perdite di guadagno causate all’agente dal non poter promuovere gli affari per più imprese contemporaneamente erano state compensate dall’estensione della sua area geografica di competenza.

Inoltre la qualificazione del rapporto come di agenzia o di lavoro subordinato era frutto di una libera scelta dei collaboratori al momento stesso della costituzione del rapporto. Chi proveniva da precedenti esperienze come agente di commercio preferiva continuare ad instaurare con la nuova mandante un rapporto di agenzia, chi aveva sempre operato come lavoratore dipendente, sia pure nel ramo delle attività di vendita, chiedeva invece di essere assunto con contratto di lavoro subordinato, con compensi tendenzialmente fissi e garantiti.

Nelle proprie difese, infine, l’impresa convenuta sottolineava come nel corso del rapporto le parti avessero dato esecuzione al contratto di agenzia in conformità alle pattuizioni contrattuali e alle previsioni dell’A.E.C., senza che vi fosse mai stata alcuna diversa contestazione o rivendicazione da parte dell’agente. Vi era stato dunque un legittimo affidamento da parte della mandante nel fatto che la qualificazione del rapporto di agenzia fosse pacificamente accettata dall’agente, in coerenza con il trattamento retributivo a provvigione e con l’iscrizione a Enasarco, ente previdenziale degli agenti.

 

Il ricorso dell’agente di commercio è stato rigettato  dal Giudice del Lavoro, il quale ha evidenziato come il ricorrente non avesse fornito la prova che il rapporto intercorso contenesse elementi idonei ad integrare la subordinazione. Il Tribunale ha ritenuto che, nonostante gli elementi dedotti, il ricorrente avesse in concreto mantenuto quel grado di autonomia tipico del lavoratore autonomo.  Infatti l’agente, come é emerso dall’istruttoria di causa, aveva sempre deciso autonomamente i propri orari e itinerari, scelto da solo i clienti a cui fare visita e le relative tempistiche, gestito autonomamente le ferie e gli altri impegni personali senza dover chiedere autorizzazioni alla mandante. Egli inoltre non percepiva alcun rimborso spese per le trasferte e non disponeva di una carta di credito aziendale.

Il Giudice ha inoltre osservato come le ingerenze dell’impresa convenuta, lamentate dal ricorrente, avessero l’unico scopo di migliorare i risultati commerciali a beneficio di entrambe le parti e non di esercitare un controllo fine a se stesso nei confronti dell’agente.

 

L’agente ha successivamente impugnato la sentenza, affermando che il Giudice del Lavoro non aveva adeguatamente valorizzato alcuni fatti riferiti dai testimoni, a proprio dire confermativi delle proprie tesi.

 

La Corte d’Appello ha tuttavia confermato la decisione del Giudice del Lavoro, escludendo nel caso la c.d. “etero-direzione“, caratteristica principale del rapporto subordinato, ritenendo provata solamente la normale collaborazione e interazione  tra mandante e agente, tipica del rapporto di agenzia, a maggior ragione nel caso di agente capoarea.

Con l’occasione la Corte d’Appello ha ribadito il noto orientamento giurisprudenziale secondo cui la subordinazione sussiste quando il lavoratore è assoggettato, ai sensi dell’art. 2094 cod. civ., al potere organizzativo direttivo e disciplinare del datore di lavoro ed è inserito nell’organizzazione aziendale (cfr. Cass. 25.2.2019, n. 5423).  Per stabilire se questi elementi sussistano in concreto occorre però esaminare sia la volontà manifestata dalle parti nella forma esteriore, sia le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative in concreto (App. Milano 7.2.2019).

Con riferimento in particolare alla possibilità che una medesima attività possa svolgersi tanto nell’ambito del lavoro subordinato quanto in quello del lavoro autonomo, la Corte ha richiamato la sentenza della Corte di Cassazione n. 11539/2020, secondo cui “ ogni attività umana può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo e che l’elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nella organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all’attività di impresa”.

Infine la Corte d’Appello ha ricordato che sono elementi indiziari dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato gli obblighi di frequenza dell’ambiente di lavoro, l’assenza di libertà in capo al lavoratore di assentarsi dal posto di lavoro, la corresponsione di una retribuzione fissa e ad intervalli di tempo regolari, l’utilizzo di strumenti di lavoro forniti dall’impresa, il pedissequo controllo esecutivo dello svolgimento delle prestazioni, l’assenza di qualunque organizzazione imprenditoriale in capo al prestatore di lavoro, l’obbligo di rispettare orari predeterminati, la sottoposizione ad un potere disciplinare, l’assenza di rischio di impresa a carico del lavoratore.

 

E’ perciò utile ricordare che l’impresa che intenda conferire ad un agente il mandato di agenzia, o più in generale avvalersi delle sue prestazioni quale lavoratore autonomo, deve curare la stesura delle clausole del mandato  o del contratto, in particolare quanto al trattamento economico a provvigione, variabile secondo i risultati conseguiti nell’ambito delle vendite. Inoltre l’impresa dovrà prestare attenzione a che le modalità di oggettivo svolgimento del rapporto garantiscano al collaboratore quel grado di autonomia necessario e sufficiente ad escludere la configurabilità del potere direttivo, organizzativo e disciplinare che caratterizza il lavoro subordinato.

Giugno 2021 

Edoardo Piccione