AGENTE DI COMMERCIO O LAVORATORE SUBORDINATO?
Con
la sentenza n. 166/2019 il Tribunale di Treviso, Sezione Lavoro, ha avuto
occasione di delineare le differenze tra il rapporto di agenzia ed il rapporto
di lavoro subordinato.
Nella
fattispecie un agente ‘generale’ aveva svolto per oltre 10 anni funzioni di
capoarea, coordinando l’attività degli agenti di zona e percependo una
provvigione per tutti gli affari conclusi in una macro-area includente più
regioni italiane.
Al
termine della collaborazione la società mandante corrispondeva all’agente tutte
le spettanze di fine rapporto. Tuttavia
quest’ultimo decideva di promuovere una causa avanti il Giudice del Lavoro,
chiedendo che venisse accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro
intercorso e domandando che la mandante fosse di conseguenza condannata a
pagare differenze retributive, regolarizzazioni contributive, nonché rimborsi spese
di trasferta ed altri costi da lui sostenuti in corso di rapporto.
Come
noto il rapporto di agenzia è tipicamente regolato dal codice civile agli art.
1742 e segg., e l’agente di commercio è quel soggetto imprenditore autonomo
che assume l’incarico, per conto di un operatore economico, c.d. mandante o
preponente, di promuovere la conclusione di contratti in una determinata zona verso
retribuzione. Molti aspetti del rapporto di agenzia trovano dettagliata
disciplina nella contrattazione collettiva (in particolare l’A.E.C. 30.7.2014
per gli agenti del Settore Industria e l’A.E.C. 16.2.2009 per gli agenti del Settore
Commercio).
Ai
sensi dell’art. 2094 c.c., viceversa, è prestatore di lavoro subordinato
chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il
proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione
dell’imprenditore.
A
supporto della propria tesi secondo cui il rapporto di agenzia intercorso andava
qualificato come di natura subordinata, nonostante la formale chiara
configurazione del contratto, l’agente aveva evidenziato come la mandante
avesse tenuto, in corso di rapporto, una condotta pressante e a suo dire
vessatoria nel pretendere da lui il miglioramento dei fatturati nella propria
area, e insistente nel richiedere il raggiungimento dei budget così come la comunicazione
dei programmi settimanali delle visite ai clienti, in affiancamento agli agenti
di zona: più in generale quale fosse la sua programmazione degli impegni di
lavoro nell’area assegnata.
La
natura di lavoro subordinato era stata inoltre dedotta dal fatto che all’inizio
del rapporto l’agente fosse plurimandatario, mentre successivamente la mandante
lo aveva indotto ad accettare di operare come monomandatario, cioè in esclusiva
per l’azienda, con relativa modifica del contratto di agenzia.
L’ulteriore
argomentazione utilizzata dal ricorrente è consistita nel sostenere che altri
capo-area della mandante, con i quali egli doveva interfacciarsi, fossero
inquadrati come lavoratori subordinati. E pertanto, se questi ultimi erano
lavoratori dipendenti pur svolgendo le sue medesime attività e funzioni, egli
deduceva in ricorso che anche il proprio rapporto con la mandante avrebbe dovuto
essere qualificato come di lavoro subordinato.
L’impresa
mandante si è difesa affermando come i rispettivi diritti ed obblighi previsti
dal contratto rispecchiassero pienamente la tipologia contrattuale scelta, cioè
il rapporto di agenzia commerciale, e che lo stesso si era svolto nel rispetto
dell’autonomia economica e organizzativa che tipicamente caratterizza l’agente
di commercio. Oltre ad un trattamento provvigionale variabile corrispondente al
tipo contrattuale dell’agenzia, nel quale l’agente è partecipe del rischio
connesso ai risultati di vendita.
I
solleciti rivolti dalla mandane all’agente affinché comunicasse i propri
spostamenti o rendesse noti i programmi di visita ai clienti avevano, a detta
della mandante, soltanto la finalità di migliorare il coordinamento del lavoro
e di favorire, anche nell’interesse stesso dell’agente, i migliori risultati di
fatturato nella zona, senza che la mandante intendesse imporre in termini
vincolanti un’agenda degli impegni e delle scadenze, o esercitare un potere di
controllo continuativo.
Il
mutamento del rapporto da plurimandato a monomandato, invece, era secondo
l’impresa la normale conseguenza della propria crescita nel corso degli anni e
della necessità che soggetti chiave nella rete commerciale, come i capo-area,
si dedicassero per intero a tale attività, visto l’allargamento progressivo
dell’area assegnata e l’aumento progressivo del fatturato e della clientela. In
aggiunta, argomentava la mandante, le eventuali perdite di guadagno causate all’agente
dal non poter promuovere gli affari per più imprese contemporaneamente erano
state compensate dall’estensione della sua area geografica di competenza.
Inoltre
la qualificazione del rapporto come di agenzia o di lavoro subordinato era
frutto di una libera scelta dei collaboratori al momento stesso della costituzione
del rapporto. Chi proveniva da precedenti esperienze come agente di commercio
preferiva continuare ad instaurare con la nuova mandante un rapporto di
agenzia, chi aveva sempre operato come lavoratore dipendente, sia pure nel ramo
delle attività di vendita, chiedeva invece di essere assunto con contratto di
lavoro subordinato, con compensi tendenzialmente fissi e garantiti.
Nelle
proprie difese, infine, l’impresa convenuta sottolineava come nel corso del
rapporto le parti avessero dato esecuzione al contratto di agenzia in
conformità alle pattuizioni contrattuali e alle previsioni dell’A.E.C., senza
che vi fosse mai stata alcuna diversa contestazione o rivendicazione da parte
dell’agente. Vi era stato dunque un legittimo affidamento da parte della
mandante nel fatto che la qualificazione del rapporto di agenzia fosse pacificamente
accettata dall’agente, in coerenza con il trattamento retributivo a provvigione
e con l’iscrizione a Enasarco, ente previdenziale degli agenti.
Il
ricorso dell’agente di commercio è stato rigettato dal Giudice del Lavoro, il quale ha
evidenziato come il ricorrente non avesse fornito la prova che il rapporto
intercorso contenesse elementi idonei ad integrare la subordinazione. Il
Tribunale ha ritenuto che, nonostante gli elementi dedotti, il ricorrente
avesse in concreto mantenuto quel grado di autonomia tipico del lavoratore
autonomo. Infatti l’agente, come é
emerso dall’istruttoria di causa, aveva sempre deciso autonomamente i propri
orari e itinerari, scelto da solo i clienti a cui fare visita e le relative tempistiche,
gestito autonomamente le ferie e gli altri impegni personali senza dover
chiedere autorizzazioni alla mandante. Egli inoltre non percepiva alcun
rimborso spese per le trasferte e non disponeva di una carta di credito
aziendale.
Il
Giudice ha inoltre osservato come le ingerenze dell’impresa convenuta,
lamentate dal ricorrente, avessero l’unico scopo di migliorare i risultati
commerciali a beneficio di entrambe le parti e non di esercitare un controllo
fine a se stesso nei confronti dell’agente.
L’agente
ha successivamente impugnato la sentenza, affermando che il Giudice del Lavoro
non aveva adeguatamente valorizzato alcuni fatti riferiti dai testimoni, a
proprio dire confermativi delle proprie tesi.
La
Corte d’Appello ha tuttavia confermato la decisione del Giudice del Lavoro, escludendo
nel caso la c.d. “etero-direzione“, caratteristica
principale del rapporto subordinato, ritenendo provata solamente la normale
collaborazione e interazione tra
mandante e agente, tipica del rapporto di agenzia, a maggior ragione nel caso
di agente capoarea.
Con
l’occasione la Corte d’Appello ha ribadito il noto orientamento
giurisprudenziale secondo cui la subordinazione sussiste quando il lavoratore è
assoggettato, ai sensi dell’art. 2094 cod. civ., al potere organizzativo
direttivo e disciplinare del datore di lavoro ed è inserito nell’organizzazione
aziendale (cfr. Cass. 25.2.2019, n. 5423).
Per stabilire se questi elementi sussistano in concreto occorre però esaminare
sia la volontà manifestata dalle parti nella forma esteriore, sia le modalità
di svolgimento delle prestazioni lavorative in concreto (App. Milano 7.2.2019).
Con
riferimento in particolare alla possibilità che una medesima attività possa
svolgersi tanto nell’ambito del lavoro subordinato quanto in quello del lavoro
autonomo, la Corte ha richiamato la sentenza della Corte di Cassazione n.
11539/2020, secondo cui “ ogni attività umana può essere oggetto sia di
rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo e che l’elemento tipico
che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla
subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del
datore, con assoggettamento del prestatore al potere organizzativo, direttivo e
disciplinare del datore di lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore
nella organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative
corrispondenti all’attività di impresa”.
Infine
la Corte d’Appello ha ricordato che sono elementi indiziari dell’esistenza di
un rapporto di lavoro subordinato gli obblighi di frequenza dell’ambiente di
lavoro, l’assenza di libertà in capo al lavoratore di assentarsi dal posto di
lavoro, la corresponsione di una retribuzione fissa e ad intervalli di tempo
regolari, l’utilizzo di strumenti di lavoro forniti dall’impresa, il pedissequo
controllo esecutivo dello svolgimento delle prestazioni, l’assenza di qualunque
organizzazione imprenditoriale in capo al prestatore di lavoro, l’obbligo di
rispettare orari predeterminati, la sottoposizione ad un potere disciplinare,
l’assenza di rischio di impresa a carico del lavoratore.
E’ perciò utile ricordare
che l’impresa che intenda conferire ad un agente il mandato di agenzia, o più
in generale avvalersi delle sue prestazioni quale lavoratore autonomo, deve
curare la stesura delle clausole del mandato
o del contratto, in particolare quanto al trattamento economico a
provvigione, variabile secondo i risultati conseguiti nell’ambito delle vendite.
Inoltre l’impresa dovrà prestare attenzione a che le modalità di oggettivo
svolgimento del rapporto garantiscano al collaboratore quel grado di autonomia
necessario e sufficiente ad escludere la configurabilità del potere direttivo,
organizzativo e disciplinare che caratterizza il lavoro subordinato.
Giugno 2021
Edoardo Piccione