Il patto di prova nel rapporto di lavoro
28 aprile, 2020

Il patto di prova nel rapporto di lavoro

Il patto di prova è una clausola accessoria al contratto di lavoro che prevede la possibilità, in favore sia del datore di lavoro che del lavoratore, di recedere anticipatamente dal contratto, senza obbligo di preavviso o di indennità o di motivazione, entro un ristretto arco di tempo iniziale a partire dalla costituzione del rapporto.

Il codice civile regola all’art. 2096 tale clausola stabilendo che:

i) il patto di prova deve risultare da atto scritto, a pena di nullità;

ii) il datore di lavoro deve concedere al lavoratore il tempo e l’occasione per poter dimostrare le proprie competenze;

iii) il lavoratore è obbligato a tenere una condotta che consenta al datore di lavoro di valutare la sua attitudine e le sue capacità.

Nell’esperienza pratica, tuttavia, il patto di prova serve soprattutto al datore di lavoro per verificare sul campo l’idoneità del lavoratore prima di procedere alla sua definitiva conferma.

L’art. 10 l. 604/1966 fissa in maniera implicita un limite di durata al periodo di prova, stabilendo che le norme a tutela del lavoratore contro il licenziamento illegittimo trovano applicazione anche nei rapporti di lavoro in cui è previsto un patto di prova, decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto.

Inoltre la Direttiva UE 2019/1152 fissa in sei mesi la durata massima del periodo di prova, con la conseguenza che la legge di attuazione di ciascun paese europeo, che dovrà essere approvata entro il 1 Agosto 2022, ne terrà necessariamente conto.

Infine la contrattazione collettiva disciplina ulteriormente il patto di prova, a seconda del settore interessato, della categoria, del livello di professionalità del singolo lavoratore, e del grado di responsabilità assegnatagli.

Ad esempio il CCNL Industrie Metalmeccaniche 26.11.2016, art. 2, prevede una durata ordinaria del patto di prova di un mese, un mese e mezzo, tre mesi o sei mesi, a seconda della categoria professionale del lavoratore. Tale limite di durata può essere ridotto a venti giorni, un mese, due mesi o tre mesi i) quando il lavoratore ha lavorato per almeno un biennio presso altre aziende con identiche mansioni, ii) quando il lavoratore ha completato un periodo di apprendistato professionalizzante con lo stesso profilo professionale di assunzione.

Il CCNL Alimentari Aziende Industriali 5.2.2016, art. 17, prevede invece una durata massima del periodo di prova di sei mesi, tre mesi, un mese, oppure dodici giorni a seconda del livello di inquadramento dei lavoratori. Lo stesso articolo precisa che sono esentati dalla prova gli operai che abbiano già superato il periodo di prova presso la stessa azienda e per le stesse mansioni nel quinquennio precedente.

Il CCNL Terziario Confocommercio 30.3.2015, art. 51, stabilisce una durata massima del periodo di prova di sei mesi, sessanta giorni, o quarantacinque giorni a seconda del livello di inquadramento del lavoratore.

Nell’esperienza pratica le maggiori problematiche legate al patto di prova riguardano i requisiti di forma e la possibilità per le parti di recedere liberamente durante il periodo di prova.

Limiti di forma e di contenuto

L’obbligo di forma scritta a pena di nullità previsto dall’art. 2096 c.c. deve ritenersi esteso anche all’indicazione delle mansioni per le quali il lavoratore viene assunto in prova.

Infatti se lo scopo del patto è permettere al lavoratore di dimostrare le proprie capacità, risulta necessario che egli conosca preventivamente il contenuto della prova a cui andrà sottoposto, e le mansioni alle quali sarà adibito, in modo da esprimere al meglio le sue capacità (Cass. 3.12.2018, n. 31159).

Il recesso del datore di lavoro durante il periodo di prova

La discrezionalità del datore di lavoro nel decidere se interrompere il rapporto o meno durante il periodo di prova non può corrispondere  ad un mero arbitrio.

Il lavoratore potrebbe impugnare un licenziamento intimato dopo un periodo di tempo eccessivamente breve dall’inizio del rapporto, deducendo di non essere stato messo in condizione di dimostrare la propria capacità  lavorativa (Cass. 2.10.2018, n. 23898).

Si ritiene inoltre che l’imprenditore possa avvalersi della libertà di recedere senza obbligo di motivazione soltanto a condizione che il recesso sia riconducibile alla avvenuta verifica delle capacità del lavoratore indicate nel patto di prova.

Qualora il lavoratore licenziato per mancato superamento della prova dimostrasse di essere stato invece adibito a mansioni differenti rispetto a quelle indicate nel contratto, egli potrebbe contestare il licenziamento (Cass. 22.10.2018, n. 26679).   

Il patto di prova deve avere ad oggetto la verifica di qualità o caratteristiche del lavoratore che al momento dell’assunzione non siano già conosciute o non siano state già verificate in occasione di un rapporto pregresso. Per questo motivo esso deve ritenersi illegittimamente stipulato se la verifica sia già intervenuta con esito positivo, per le stesse mansioni anche se denominate diversamente dalle parti, e per un congruo lasso di tempo, in favore dello stesso lavoratore (Cass. 1.9.2015, n. 17371; conf. Cass. 17.7.2015, n. 15059). Per questo motivo quando il lavoratore è invalido oppure  presenta delle inidoneità fisiche allo svolgimento di determinate attività, l'apposizione del patto di prova è stata ritenuta valida solo in presenza di tre condizioni: a) svolgimento della prova in mansioni compatibili con lo stato d'invalidità, b) non riferibilità dell'esito della prova a condizioni di minor rendimento dovuto all'invalidità, c) assoggettamento del giudizio negativo, reso dal datore di lavoro, al sindacato di legittimità dell'autorità giudiziaria (Corte App. Trento e Bolzano, 19.4.2019; cof. Cass. 16.8.2004, n. 15942).

La giurisprudenza ritiene tuttavia valido il patto di prova inserito nel contratto di un lavoratore che ha già lavorato per la stessa azienda. La ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ritenuta ammissibile nel limite in cui l’imprenditore, pur avendo già verificato le qualità professionali del lavoratore, abbia interesse a valutarne anche il suo comportamento e la sua personalità in relazione all’adempimento della prestazione, trattandosi di elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per molteplici fattori (Cass. 12.9.2019, n. 22809; Cass. 12.11.2018, n. 28930; Cass. 6.11.2018, n. 28252; Cass. 9.3.2016, n.4635).

In conclusione la scelta dell’impresa di inserire la clausola che prevede un periodo di prova nel contratto di lavoro deve essere preceduta da una attenta valutazione da parte del datore di lavoro di eventuali rapporti pregressi tra le parti, delle mansioni a cui viene adibito il lavoratore, delle caratteristiche e della professionalità già posseduta da quest’ultimo.

Va evitato infatti l’errore per l’imprenditore di riprodurre in più contratti di assunzione una identica clausola standard, quale “patto di prova”, senza considerare la specificità dell’instaurando rapporto di lavoro e della relativa prova cui si vuole sottoporre il lavoratore.

Aprile 2020

Edoardo Piccione