Obbligo di repechage nel licenziamento per motivi economici più gravoso dopo la riforma dell’art. 2103 cod. civ.
Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo,
regolato dall’art. 3, l. 604/1966, è il recesso intimato dal datore di lavoro,
motivato da esigenze di carattere organizzativo, produttivo e comminato per
esigenze dell’attività di impresa.
Più in generale viene anche chiamato “licenziamento per motivi
economici”.
E’
noto che l’art. 41 della Costituzione sancisce il principio costituzionale di
libertà dell’iniziativa economica privata, e questo rende insindacabili le
decisioni del datore di lavoro in merito all’organizzazione e alla gestione
della propria azienda.
Per
questo motivo il controllo giudiziale, avente ad oggetto la legittimità del
licenziamento, non può né sindacare le specifiche valutazioni tecniche o
strategiche compiute dall’imprenditore, né stabilire se egli debba prediligere una
soluzione rispetto ad un’altra.
Il Giudice verifica invece:
a) l’esistenza
effettiva dell’esigenza aziendale addotta dal datore di lavoro per motivare il
licenziamento;
b) il
nesso di causalità tra l’esigenza di carattere organizzativo, tecnico-produttivo
aziendale e la decisione di estromettere uno specifico lavoratore
dall’organizzazione aziendale;
c) l’impossibilità
di soddisfare l’esigenza aziendale conservando nel contempo il posto di lavoro,
anche reimpiegando il lavoratore in altre mansioni all’interno dell’azienda.
Proprio
su questo ultimo elemento, noto anche come “obbligo di repêchage” (in
italiano ‘ripescaggio’) ci soffermiamo in questo articolo.
L’obbligo
di repêchage deriva da un più generale obbligo per le parti del rapporto di
lavoro di agire secondo principi di buona fede: il datore di lavoro che intende
sopprimere una posizione lavorativa, prima di valutare il licenziamento del
dipendente deve verificare se questo ultimo possa essere ricollocato in un
altro ruolo all’interno dell’azienda, offrendogli anche eventuali mansioni
inferiori.
In
sede giudiziale il datore di lavoro che intende difendere la legittimità del
licenziamento deve provare l’assolvimento agli obblighi di repêchage, e tale onere
può essere soddisfatto dimostrando:
i) che i
posti di lavoro che riguardano mansioni equivalenti al momento del
licenziamento erano già occupati da altri lavoratori,
ii) che non
era possibile creare posti di lavoro nuovi nelle stesse mansioni occupate da
altri lavoratori,
iii) che non è stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica
del lavoratore licenziato,
iv) che il
mantenimento della postazione lavorativa del lavoratore licenziato
richiederebbe una riorganizzazione complessa, antieconomica e gravosa in
termini di costi,
v) che la
professionalità del lavoratore licenziato non è utilizzabile in alcun altro
modo nell’ambito dell’organizzazione produttiva e aziendale.
Con
riferimento alla possibilità o meno di adibire il lavoratore licenziato a
mansioni diverse o inferiori occorre considerare che il D. Lgs. 15.6.2015, n.
81 ha riformato l’art. 2103 cod. civ., prevedendo che “ Il lavoratore deve
essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle
corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito,
ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di
inquadramento delle ultime effettivamente svolte” (comma 1) e che “in
caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla
posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni
appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella
medesima categoria legale” (nuovo art. 2103, comma 2, cod. civ.).
La
nuova formulazione supera la normativa precedente, che prevedeva soltanto
l’obbligo di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti alle ultime
effettivamente svolte.
Se per
un verso il nuovo art. 2103 cod. civ. ampia la libertà di azione del datore di
lavoro nell’assegnazione dei dipendenti alle diverse mansioni, per altro
aspetto nelle fasi di riorganizzazione aziendale lo vincola a valutare un
maggiore spettro di alternative prima di licenziare un dipendente per
soppressione del posto di lavoro.
In
sede di contenzioso giudiziale di impugnazione del licenziamento questo
cambiamento incide sull’obbligo di repêchage a carico del datore di lavoro,
come rilevato dalla recente sentenza Cass. n. 31561 del 13 novembre 2023.
Nel caso di specie una lavoratrice che aveva svolto le mansioni di
cassiera era stata licenziata dopo la chiusura di un locale conseguente ad un
incendio, con la motivazione che la posizione lavorativa (di cassiera) era
stata soppressa.
Nella successiva riorganizzazione aziendale, inoltre, il datore di
lavoro aveva assunto altri lavoratori con mansioni diverse da quelle della
lavoratrice, ma alcune rientranti nello stesso livello di inquadramento o in un
livello di inquadramento inferiore (tra i lavoratori assunti vi erano ad esempio
cameriere, aiuto cuochi, lavapiatti,
ecc…).
Tra i motivi di impugnazione del licenziamento emerge l’asserita
violazione dell’obbligo di repêchage, in quanto la lavoratrice sosteneva di
essere idonea a svolgere le mansioni di cameriera o addetta al bancone, o altre
mansioni di livello inferiore, destinate ai lavoratori assunti dopo il suo
licenziamento ma che a lei non erano mai state proposte.
Nel giudizio di appello la Corte territoriale aveva riformato la
sentenza di primo grado, respingendo l’impugnazione del licenziamento e
affermando che le mansioni degli altri lavoratori non fossero riconducibili a
quella di cassiera. La corte territoriale aveva inoltre giudicato irrilevante
il fatto che molte qualifiche fossero ricondotte dal contratto collettivo all’interno
dello stesso livello di inquadramento. Secondo i giudici di secondo grado il
collegamento di mansioni diverse ad un medesimo livello di inquadramento
rileverebbe solo per individuare il regime normativo e retributivo comune ad
alcuni dipendenti, ma non a valutare la fungibilità delle mansioni.
Di diverso avviso è stata la Corte di Cassazione, che ha valorizzato
le rilevanti conseguenze della riforma dell’art. 2103 cod. civ. descritte
sopra.
Come detto la riforma allarga il novero delle mansioni
potenzialmente fungibili tra loro, e al principio di equivalenza che
caratterizzava la vecchia normativa prevale oggi il principio di conservazione
del posto di lavoro. Quindi il datore di lavoro deve verificare possibili
situazioni alternative al licenziamento e quand’anche esse determinassero l’assegnazione a mansioni inferiori è tenuto
ad offrire tali mansioni al lavoratore prima di recedere dal rapporto di
lavoro.
A giudizio della Cassazione, pertanto, il riferimento ai livelli
di inquadramento predisposti dalla contrattazione collettiva costituisce un
elemento che il giudice deve valutare per stabilire in concreto se chi è stato
licenziato fosse o meno in grado di espletare le altre mansioni assegnate ai
lavoratori neo-assunti.
La Corte ha inoltre ribadito che l’idoneità o meno del lavoratore
a svolgere tali mansioni deve essere valutata sulla base di circostanze
oggettivamente verificabili che il solo datore di lavoro ha l’onere di provare.
Tale onere non è stato ritenuto soddisfatto nel caso in esame, in
quanto il datore di lavoro avrebbe dovuto dimostrare in concreto che la
lavoratrice licenziata non fosse in grado di occupare alcuno dei ruoli per i
quali sono state assunte altre figure professionali. Il datore di lavoro invece
aveva motivato la infungibilità delle mansioni delle lavoratrici assunte
(cameriere, aiuto cuoco, lavapiatti) con quella della ricorrente (cassiera)
invocando soltanto massime di esperienza ritenute peraltro generiche.
La riforma dell’art. 2103 cod. civ. e le conseguenti
interpretazioni giurisprudenziali rispecchiano uno dei recenti cambiamenti del
diritto del lavoro, che cerca di rimanere al passo con le nuove esigenze e
differenti casistiche di un mondo sempre in evoluzione.
In questo i professionisti del settore possono sempre fornire un
importante supporto di consulenza preventiva alle imprese e ai lavoratori, che
sono parti di un rapporto di lavoro e che devono affrontare delicate decisioni
e possibilmente scongiurare un possibile contezioso.
Gennaio 2024
Avv. Edoardo Piccione