Obbligo di repechage nel licenziamento per motivi economici  più gravoso dopo la riforma dell’art. 2103 cod. civ.
15 gennaio, 2024

Obbligo di repechage nel licenziamento per motivi economici più gravoso dopo la riforma dell’art. 2103 cod. civ.

Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, regolato dall’art. 3, l. 604/1966, è il recesso intimato dal datore di lavoro, motivato da esigenze di carattere organizzativo, produttivo e comminato per esigenze dell’attività di impresa.

Più in generale viene anche chiamato “licenziamento per motivi economici”.

E’ noto che l’art. 41 della Costituzione sancisce il principio costituzionale di libertà dell’iniziativa economica privata, e questo rende insindacabili le decisioni del datore di lavoro in merito all’organizzazione e alla gestione della propria azienda.

Per questo motivo il controllo giudiziale, avente ad oggetto la legittimità del licenziamento, non può né sindacare le specifiche valutazioni tecniche o strategiche compiute dall’imprenditore, né stabilire se egli debba prediligere una soluzione rispetto ad un’altra.

Il Giudice verifica invece:

a)   l’esistenza effettiva dell’esigenza aziendale addotta dal datore di lavoro per motivare il licenziamento;

b)   il nesso di causalità tra l’esigenza di carattere organizzativo, tecnico-produttivo aziendale e la decisione di estromettere uno specifico lavoratore dall’organizzazione aziendale;

c)   l’impossibilità di soddisfare l’esigenza aziendale conservando nel contempo il posto di lavoro, anche reimpiegando il lavoratore in altre mansioni all’interno dell’azienda.

 

Proprio su questo ultimo elemento, noto anche come “obbligo di repêchage” (in italiano ‘ripescaggio’) ci soffermiamo in questo articolo.

L’obbligo di repêchage deriva da un più generale obbligo per le parti del rapporto di lavoro di agire secondo principi di buona fede: il datore di lavoro che intende sopprimere una posizione lavorativa, prima di valutare il licenziamento del dipendente deve verificare se questo ultimo possa essere ricollocato in un altro ruolo all’interno dell’azienda, offrendogli anche eventuali mansioni inferiori.

In sede giudiziale il datore di lavoro che intende difendere la legittimità del licenziamento deve provare l’assolvimento agli obblighi di repêchage, e tale onere può essere soddisfatto dimostrando:

i)    che i posti di lavoro che riguardano mansioni equivalenti al momento del licenziamento erano già     occupati da altri lavoratori,

ii)      che non era possibile creare posti di lavoro nuovi nelle stesse mansioni occupate da altri lavoratori,

iii)     che non è stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica del lavoratore licenziato,

iv) che il mantenimento della postazione lavorativa del lavoratore licenziato richiederebbe una     riorganizzazione complessa, antieconomica e gravosa in termini di costi,

v)  che la professionalità del lavoratore licenziato non è utilizzabile in alcun altro modo nell’ambito     dell’organizzazione produttiva e aziendale.

Con riferimento alla possibilità o meno di adibire il lavoratore licenziato a mansioni diverse o inferiori occorre considerare che il D. Lgs. 15.6.2015, n. 81 ha riformato l’art. 2103 cod. civ., prevedendo che “ Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte” (comma 1) e che “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale” (nuovo art. 2103, comma 2, cod. civ.).

La nuova formulazione supera la normativa precedente, che prevedeva soltanto l’obbligo di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte.

Se per un verso il nuovo art. 2103 cod. civ. ampia la libertà di azione del datore di lavoro nell’assegnazione dei dipendenti alle diverse mansioni, per altro aspetto nelle fasi di riorganizzazione aziendale lo vincola a valutare un maggiore spettro di alternative prima di licenziare un dipendente per soppressione del posto di lavoro.

 

In sede di contenzioso giudiziale di impugnazione del licenziamento questo cambiamento incide sull’obbligo di repêchage a carico del datore di lavoro, come rilevato dalla recente sentenza Cass. n. 31561 del 13 novembre 2023.

Nel caso di specie una lavoratrice che aveva svolto le mansioni di cassiera era stata licenziata dopo la chiusura di un locale conseguente ad un incendio, con la motivazione che la posizione lavorativa (di cassiera) era stata soppressa.

Nella successiva riorganizzazione aziendale, inoltre, il datore di lavoro aveva assunto altri lavoratori con mansioni diverse da quelle della lavoratrice, ma alcune rientranti nello stesso livello di inquadramento o in un livello di inquadramento inferiore (tra i lavoratori assunti vi erano ad esempio  cameriere, aiuto cuochi, lavapiatti, ecc…).

Tra i motivi di impugnazione del licenziamento emerge l’asserita violazione dell’obbligo di repêchage, in quanto la lavoratrice sosteneva di essere idonea a svolgere le mansioni di cameriera o addetta al bancone, o altre mansioni di livello inferiore, destinate ai lavoratori assunti dopo il suo licenziamento ma che a lei non erano mai state proposte.

Nel giudizio di appello la Corte territoriale aveva riformato la sentenza di primo grado, respingendo l’impugnazione del licenziamento e affermando che le mansioni degli altri lavoratori non fossero riconducibili a quella di cassiera. La corte territoriale aveva inoltre giudicato irrilevante il fatto che molte qualifiche fossero ricondotte dal contratto collettivo all’interno dello stesso livello di inquadramento. Secondo i giudici di secondo grado il collegamento di mansioni diverse ad un medesimo livello di inquadramento rileverebbe solo per individuare il regime normativo e retributivo comune ad alcuni dipendenti, ma non a valutare la fungibilità delle mansioni.

Di diverso avviso è stata la Corte di Cassazione, che ha valorizzato le rilevanti conseguenze della riforma dell’art. 2103 cod. civ. descritte sopra.

Come detto la riforma allarga il novero delle mansioni potenzialmente fungibili tra loro, e al principio di equivalenza che caratterizzava la vecchia normativa prevale oggi il principio di conservazione del posto di lavoro. Quindi il datore di lavoro deve verificare possibili situazioni alternative al licenziamento e quand’anche esse determinassero  l’assegnazione a mansioni inferiori è tenuto ad offrire tali mansioni al lavoratore prima di recedere dal rapporto di lavoro.

A giudizio della Cassazione, pertanto, il riferimento ai livelli di inquadramento predisposti dalla contrattazione collettiva costituisce un elemento che il giudice deve valutare per stabilire in concreto se chi è stato licenziato fosse o meno in grado di espletare le altre mansioni assegnate ai lavoratori neo-assunti.

La Corte ha inoltre ribadito che l’idoneità o meno del lavoratore a svolgere tali mansioni deve essere valutata sulla base di circostanze oggettivamente verificabili che il solo datore di lavoro ha l’onere di provare.

Tale onere non è stato ritenuto soddisfatto nel caso in esame, in quanto il datore di lavoro avrebbe dovuto dimostrare in concreto che la lavoratrice licenziata non fosse in grado di occupare alcuno dei ruoli per i quali sono state assunte altre figure professionali. Il datore di lavoro invece aveva motivato la infungibilità delle mansioni delle lavoratrici assunte (cameriere, aiuto cuoco, lavapiatti) con quella della ricorrente (cassiera) invocando soltanto massime di esperienza ritenute peraltro generiche.

La riforma dell’art. 2103 cod. civ. e le conseguenti interpretazioni giurisprudenziali rispecchiano uno dei recenti cambiamenti del diritto del lavoro, che cerca di rimanere al passo con le nuove esigenze e differenti casistiche di un mondo sempre in evoluzione.

In questo i professionisti del settore possono sempre fornire un importante supporto di consulenza preventiva alle imprese e ai lavoratori, che sono parti di un rapporto di lavoro e che devono affrontare delicate decisioni e possibilmente scongiurare un possibile contezioso.

Gennaio 2024

Avv. Edoardo Piccione