Il trasferimento di azienda
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La responsabilità solidale del
cessionario
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Il trasferimento di azienda in crisi
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I termini di impugnazione del
trasferimento d’azienda.
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La responsabilità solidale del cessionario
Sul punto, basti sol rilevare:
- che deve trattarsi di crediti sorti in epoca anteriore al trasferimento;
- che sono da escludersi dal vincolo di solidarietà i debiti
previdenziali;
- che l’alienante può esser liberato dalle obbligazioni derivanti dal
rapporto di lavoro, attraverso le procedure di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c..
- che, nella prassi, si usa spesso convenire la liberazione
dell’acquirente, così lasciando le posizioni debitorie in capo al cedente.
§
12
Il trasferimento di azienda in crisi
Gli ultimi due commi dell’art. 47 L. 428/90 si riferiscono all’ipotesi
di trasferimento di una azienda “in crisi”.
Le citate disposizioni sanciscono l’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c.
alle ipotesi di trasferimento di aziende “in crisi”.
La prima questione che si pone consiste nello stabilire che cosa si
debba intendere per “azienda in crisi”.
Nessun problema sussiste con riferimento alle ipotesi di imprese nei
confronti delle quali vi sia stato dichiarazione:
a) di fallimento;
b) di omologazione di concordato
preventivo consistente nella cessione dei beni;
c) di liquidazione coatta amministrativa;
d) di sottoposizione ad amministrazione
straordinaria.
Numerose problematiche sono, invece, insorte con riguardo alle ipotesi
di:
I. accertamento dello stato di crisi
aziendale ex L. 675/77 (sulla CIG Straordinaria);
II. ammissione alla procedura di concordato
preventivo con cessione dei beni.
Per quanto concerne la prima delle ipotesi considerate, sino al giugno del
2009 si riteneva che l’accertamento dello stato di crisi aziendale, effettuato
dal CIPI (ora dal Ministero del Lavoro), ai fini del riconoscimento della Cassa
Integrazione Straordinaria per “crisi”, costituisse presupposto sufficiente per
l’applicazione del penultimo comma dell’art. 47 L. 428/90 e la conseguente
disapplicazione dell’art. 2112 c.c. ai lavoratori il cui rapporto di lavoro
continua con l’acquirente.
La Corte di Giustizia, però, con la sentenza 11.6.2009, C – 561/07,
condannava l’Italia rilevando che la disapplicazione dell’art. 2112 c.c.,
prevista dall’art. 47, comma 5 e 6 della L. 428/90, non poteva trovare
fondamento nella disposizione di cui all’art. 53 della Direttiva 1/23 e,
pertanto, non poteva ritenersi conforme alla Direttiva medesima.
Il Legislatore italiano interveniva allora inserendo nel corpo dell’art.
47 L. 428/90 un nuovo comma 4 bis, che, in sostanza, demanda all’Accordo
sindacale di fissare i termini e le limitazioni dell’applicazione dell’art.
2112 c.c. qualora il trasferimento riguardi aziende delle quali sia stato
accertato lo stato di crisi aziendale.
Con riguardo, invece, alla seconda ipotesi sopra presa in
considerazione, va segnalato un recentissimo provvedimento della Corte di Cassazione
Sez. Lavoro (n. 7061 del 12 marzo 2019), reso in controversia gestita da questo
Studio, nel quale si afferma:
“….. un
concordato preventivo liquidatorio fondato sul presupposto di una ‘grave
crisi’, indubbiamente integra lo ‘stato di crisi’ nel quale si trova
l’imprenditore che ad esso sia ammesso, in quanto nozione inclusiva anche dello
stato di insolvenza (art. 160, primo e ultimo comma, L. Fall.);
e si osserva, inoltre, come una siffatta conclusione sia “….. rispettosa della previsione dell’art. 5
della Direttiva 2001/03/CE, ossia della facoltà di modificare, nei
trasferimenti d’azienda, le condizioni dei lavoratori intese a salvaguardare le
opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa, ‘per
quei trasferimenti in cui il cedente sia in una situazione di grave crisi
economica quale definita dal diritto nazionale, perché tale situazione sia
dichiarata da un’autorità pubblica competente e sia aperta al controllo
giudiziario’….”.
Altro aspetto rilevante del trasferimento d’azienda in crisi si riferisce
all’ipotesi in cui il mantenimento dell’occupazione sia soltanto parziale, di
talchè il trasferimento non riguardi il personale cd. “eccedentario” (pessimo
termine) che continua a rimanere alle dipendenze dell’alienante, così come previsto
dall’art. 47 L. 428/90.
In tale ipotesi si è posto il problema (di non poco momento, in quanto
idoneo ad invalidare gli eventuali successivi licenziamenti intimati
dall’alienante) relativo alla scelta dei lavoratori che passano alle dipendenze
dell’acquirente e, conseguentemente, di quelli che restano alle dipendenze
dell’alienante.
Si è da taluno tentato di sostenere che detta scelta debba esser
vincolata dai principi dettati dall’art. 4 e segg. della L. 223/91 (sui
licenziamenti collettivi), sia in applicazione dei principi generali di
correttezza e buona fede, sia in forza di una estensione analogica.
Tale tesi è stata peraltro categoricamente smentita dalla Corte di
Cassazione che nel recentissimo provvedimento sopra richiamato ha così
statuito:
“…. i principi dettati dagli
artt. 4 e ss. della L. 223/1991, e in particolare quelli relativi alla
obbligatoria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e
delle modalità di applicazione di tali criteri, non si estendono analogicamente
alla fattispecie disciplinata dall’art. 47 citato, per la differenza ratio dei
due istituti e l’assoluta diversità della disciplina” (Cass. Sez. Lav.
n. 7061 del 2019 cit.; conf. Cass. Sez. Lav.19 gennaio 2018 n. 1383).
§
13
I termini di impugnazione del
trasferimento d’azienda
Prima di concludere questa nostra rassegna, pare utile ricordare che la
facoltà di impugnare la cessione del contratto di lavoro avvenuta ai sensi
dell’art. 2112 c.c. è stata temporalmente limitata, poiché il cd. Collegato
Lavoro estende i termini di decadenza per l’impugnativa del licenziamento (60
gg per l’impugnativa e 180 per il deposito del ricorso) anche al caso del
trasferimento d’azienda, con termine decorrente dalla data del trasferimento
(art. 32, comma 4, lett. c) Legge 183/2010).
Paolo
Ferraresi