Fallimento dell'appaltatore di opera pubblica e credito del subappaltatore: le Sezioni Unite stringono sulla prededuzione (Cass. 2.3.2020 n. 5685)
La recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite è giunta a comporre il
dibattito sorto sulla possibilità che il credito del subappaltatore di opere
pubbliche possa essere qualificato come prededucibile nel fallimento del
proprio debitore appaltatore.
Nella maggior parte dei casi il credito del subappaltatore – spesso, un
fornitore – viene collocato al rango chirografario, sempre che non sia
assistito da specifiche cause di prelazione (privilegi, ipoteche).
La soluzione data dalle Sezioni Unite è restrittiva, con alcune
precisazioni.
Nella fattispecie oggetto di esame da parte della Corte, il subappaltatore,
una s.r.l., impugnava per Cassazione la propria ammissione in via chirografaria
al passivo fallimentare dell’appaltatore, sostenendo il proprio diritto alla
prededuzione in ragione: (i) della ritenuta
funzionalità del credito agli interessi della massa fallimentare (perché la sua
riscossione costituiva condizione del pagamento che a sua volta l'appaltatore
fallito doveva ricevere dalla stazione appaltante); (ii) della mancata trasmissione delle fatture quietanzate alla
stazione appaltante da parte dell’appaltatore fallito, con conseguente
sospensione dei pagamenti da parte della stazione appaltante (così come
previsto dall’art. 118, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, c.d. “Codice Appalti” del 2006).
In concreto l’ammissione era invece avvenuta al chirografo, perché, secondo
il Tribunale, il fallimento dell’appaltatore implicava l'automatico venir meno
del vincolo negoziale tra appaltatore e stazione appaltante.
La Suprema Corte dà conto nella sentenza del percorso evolutivo della
giurisprudenza sul tema.
In giurisprudenza il riconoscimento della prededuzione era stato affermato
pochi anni fa, con un percorso assai articolato, ma poi oggetto di un “giro di
vite” nelle successive più recenti pronunce.
L’apertura era giunta con la sentenza n. 3402/2012 della Cassazione: per
essa, la sospensione dei pagamenti all’appaltatore, decisa dalla stazione
appaltante in forza di legge (art. 118 cit.), poteva essere sbloccata solo
riconoscendo al credito del subappaltatore il beneficio della prededuzione: il
pagamento conseguente da parte della stazione appaltante implicava incremento
dell'attivo della massa fallimentare, nell'interesse quindi dell'intero ceto
creditorio e dunque con rispondenza agli
scopi della procedura stessa (così ragionando, il meccanismo configurato
dall'art. 118, comma 3, cit., determinava una vera e propria "condizione di esigibilità" del
pagamento da parte della stazione appaltante, anche in caso di sopravvenuto
fallimento dell'appaltatore).
L’orientamento, ribadito da Cass. n. 5705/2013, è stato poi rettificato dalla
giurisprudenza successiva, per la quale: i)
il mancato pagamento all'appaltatore fallito sarebbe un "fatto in sé
stesso neutro"; ii) l'apertura
di una procedura concorsuale non determinerebbe in automatico il verificarsi
della sospensione dei pagamenti, peraltro da provarsi dal soggetto che la
invoca, cosicché "toccherà poi al
curatore la prova del fatto estintivo costituito dallo spontaneo pagamento da
parte dell'Amministrazione" (Cass. n. 3203 del 2019).
La successiva giurisprudenza ha poi precisato che Cass. 3402/2012 non
intendeva configurare l’ammissione del credito in prededuzione “sempre e comunque (finendo per dar luogo ad
una sorta di innominato privilegio)”, dovendosi avere necessariamente
riguardo alla sussistenza di un sicuro ed indubbio vantaggio per la procedura
concorsuale conseguente al pagamento da parte della committente-P.A. in favore
della procedura stessa. Si è anche aggiunto che "se sussiste effettivamente, in concreto, il beneficio per la massa dei
creditori, la curatela non potrebbe che convergere con il creditore istante nel
riconoscimento della sua posizione di vantaggio, al fine di estinguerlo proprio
per fruire dei maggiori introiti a beneficio della massa creditoria"
(Cass. n. 3003 del 2016; conformi Cass. n. 2310 e n. 7392 del 2017).
Fin qui, dunque, l’orientamento favorevole alla prededuzione.
Di pari passo con l’evoluzione giurisprudenziale, nel 2016 è mutato il
quadro legislativo, con l’abrogazione del citato art. 118, comma 3 (peraltro
già modificato con l’aggiunta di un comma 3-bis di ulteriore dettaglio), da
parte del “Codice Appalti” del 2016
(D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, con il nuovo
art. 217), che ha circoscritto le
ipotesi di pagamento diretto al subappaltatore (nonché al cottimista, al
prestatore di servizi ed al fornitore di beni o lavori) da parte della stazione
appaltante ai casi in cui (art. 105, comma 13, e art. 174, comma 7, del codice
del 2016):
i)
il subappaltatore o il cottimista
sia una microimpresa o piccola impresa;
ii)
vi sia inadempimento da parte
dell'appaltatore;
iii)
vi sia richiesta del subappaltatore,
e se la natura del contratto lo consente.
Due ordinanze della Cassazione del 2017 (n. 15479 e n. 19615), pur sulla
scia dell’indirizzo inaugurato nel 2012 e successivamente affinato, hanno
ulteriormente definito la tematica, stabilendo che non può riconoscersi la
prededuzione a un credito che non ha alcun rapporto né genetico né funzionale con
la procedura concorsuale.
Infine il Supremo Collegio a Sezioni Unite, con la sentenza n. 33350/2018, ha ristretto fortemente il riconoscimento
della prededuzione, stabilendo che il subappaltatore deve essere considerato un
creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine
delle cause di prelazione, e che “il
meccanismo della sospensione dei pagamenti dalla stazione appaltante
all'appaltatore che non trasmetta nel termine di legge le fatture quietanzate
del subappaltatore (art. 118, comma 3, cit.) deve ritenersi, alla luce della
successiva evoluzione della normativa, calibrato sull'ipotesi di un rapporto di
appalto in corso con un'impresa in bonis, in funzione dell'interesse pubblico
primario al regolare e tempestivo completamento dell'opera, nonché al controllo
della sua corretta esecuzione, e solo indirettamente a tutela anche del
subappaltatore”, e che il
sopraggiunto fallimento “scioglie” il contratto di appalto di opera pubblica,
facendo venir meno l'interesse sinallagmatico della stazione appaltante
all'esecuzione dell'opera.
Ebbene, le Sezioni Unite del 2020
danno continuità al suddetto orientamento restrittivo espresso da Cass. n.
33350/2018, con alcune precisazioni e ponendo i seguenti principi:
-
le ragioni di tutela dei crediti dei
subappaltatori non possono di per sé giustificare deroghe, in via
giurisprudenziale, al principio della par
condicio creditorum;
-
spetta al legislatore introdurre e
disciplinare cause di prelazione secondo l'ordine previsto dagli artt. 2777 e
ss. cod. civ., pena una disparità di trattamento tra subappaltatori di opere
pubbliche e di opere private, pur essi costituiti da piccole e medie imprese;
-
l'esigenza di tutela del
subappaltatore non è incondizionata, com'è dimostrato anche dal fatto che il
pagamento diretto da parte della stazione appaltante è considerato anomalo e
quindi revocabile ex art. 67 l. fall. se effettuato con denaro che sarebbe
destinato all'appaltatore fallito (Cass. n. 25928/2015; in senso diverso Cass.
n. 506/2016, nell'ipotesi in cui ricorra una clausola del capitolato generale
d'appalto che impegni il committente a corrispondere ai subappaltatori
l'importo dei lavori eseguiti per l'ipotesi, poi verificatasi, di inadempienza
dell'appaltatore fallito);
-
la tutela del subappaltatore è
realizzata mediante il pagamento diretto da parte della stazione appaltante
alle condizioni previste dalla legge (art. 105 del “codice” 2016), e non
mediante il meccanismo della sospensione del pagamento in favore
dell'appaltatore;
-
la sospensione opererebbe quasi
quale potere unilaterale della stazione appaltante, che renderebbe
insindacabile la valutazione dell'interesse che ne è a fondamento, cioè che non
è condivisibile;
-
la sospensione del pagamento si tradurrebbe in concreto in una eccezione di
inadempimento, che la stazione appaltante è
legittimata ad opporre all'appaltatore (inadempiente all'obbligo di dimostrare
il pagamento al subappaltatore), ma la
sua proponibilità postula che il rapporto contrattuale sia in corso:
infatti, è solo nella fase esecutiva del rapporto che è consentito alle parti
far valere reciprocamente adempimenti e inadempimenti contrattuali. La stazione
appaltante può rifiutare il pagamento delle opere ineseguite o eseguite non a
regola d'arte, ma non può invocare la disciplina prevista dall'art. 1460 c.c.
in tema di eccezione di inadempimento, perché presuppone un contratto non
ancora sciolto e quindi eseguibile (cfr. Cass. n. 4616 del 2015; cfr. n. 23810
del 2015), laddove invece il fallimento
rende il contratto di appalto, anche di opera pubblica, inefficace "ex nunc", e, dunque, non più
eseguibile (arg. ex art. 72,
comma 1, l. fall.).
Questi dunque i principi ricavabili dalla sentenza:
A. il meccanismo della sospensione dei pagamenti da parte della stazione
appaltante (art. 118, comma 3, codice appalti “2006” se applicabile ratione temporis alla fattispecie) opererà
unicamente qualora continui a produrre effetti il contratto di appalto, e
quindi nel caso in cui l'appaltatore sia in
bonis.
B. al curatore è dovuto dalla stazione appaltante il corrispettivo delle
prestazioni eseguite fino all'intervenuto scioglimento del contratto;
C. il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale
dell'appaltatore come gli altri, da soddisfare nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine
delle cause di prelazione;
D. la tutela del subappaltatore è realizzata mediante il pagamento diretto da
parte della stazione appaltante alle condizioni previste dalla legge (art. 105
del “codice” 2016).
Giugno 2020
Giulio Calcinotto




