Essere coeredi…
La
comunione ereditaria si instaura dopo l’accettazione (espressa o tacita) dell’eredità
da parte dei c.d. chiamati all’eredità e sino alla divisione del compendio
ereditario.
La
comunione ereditaria comporta la contitolarità dei diritti sull’eredità in capo
ai coeredi ed è regolata dall’art. 1100 e s.s. c.c., ovvero le regole della
comunione ordinaria (salvo diverse specifiche norme previste dal legislatore,
quali ad esempio il diritto di prelazione di cui si dirà).
Va
da subito segnalato che, a sensi dell’art. 713 c.c., ‘i coeredi possono sempre
chiedere la divisione’. Pertanto ciascun erede ha diritto di vedersi assegnata
la propria quota ereditaria. Tale diritto è imprescrittibile.
Per
quanto riguarda i beni immobili, in seguito alla comunione ereditaria, si
formerà in capo ai coeredi una comproprietà per quote indivise del bene.
Per
quanto riguarda invece le partecipazioni societarie (ipotesi frequente), in
estrema sintesi, nell’ipotesi di società di capitali, vale il principio
generale che la partecipazione (salvo diversa previsione contenuta nello statuto)
si trasferisce agli eredi che ne diventano comproprietari. L’esercizio dei
diritti verso la società avverrà mediante un rappresentante comune designato dagli
stessi. E, come già detto, ciascun coerede può sempre chiedere la divisione
della partecipazione.
Nelle
società di persone, sempre fatta salva una diversa previsione contenuta nel
contratto sociale, i soci superstiti hanno facoltà di scegliere tre distinte
ipotesi, nel termine di sei mesi dall’apertura della successione: (i) liquidare
il valore della partecipazione del socio defunto agli eredi (in tal modo questi
ultimi non entreranno in società); (ii) sciogliere la società; (iii) far
subentrare gli eredi in società, sempreché gli stessi vi consentano (è quindi
necessario il formale espresso consenso dei coeredi al subentro nella quota che
il defunto aveva in una società di persone).
La
gestione della comunione ereditaria è una attività di carattere collettivo in
quanto il legislatore ha previsto che tutti i partecipanti hanno diritto di
concorrere all’amministrazione del bene (art. 1105, I° comma, c.c.).
In
base al principio maggioritario proprio del nostro ordinamento, le delibere
assunte dalla maggioranza delle quote vincoleranno anche i dissenzienti. Per le
delibere riguardanti l’ordinaria amministrazione, è necessaria la maggioranza
dei partecipanti alla comunione, calcolata secondo il valore delle quote (art.
1105, II° comma, c.c.). Per le delibere riguardanti gli atti di straordinaria
amministrazione ovvero le decisioni che comportano innovazioni dirette al
miglioramento del bene o a renderne più comodo o redditizio il godimento –
purché non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti e non
comportino una spesa eccessivamente gravosa (art. 1108 c.c.) – è necessaria la
maggioranza dei partecipanti che rappresentino almeno due terzi del valore
complessivo della cosa comune.
La
divisione può avvenire o per accordo tra i coeredi od in via giudiziale. Al
negozio di divisione devono partecipare tutti i comunisti, pena la nullità
dello stesso. Parimenti, nella causa di divisione, tutti i coeredi sono
litisconsorti necessari (art. 784 c.p.c.).
Oltre
alla divisione negoziale e giudiziale, vi è anche la c.d. divisione del
testatore quando il de cuius, nelle
disposizioni di ultima volontà, abbia già fatto luogo alla divisione dei propri
beni tra i coeredi. In tal caso sorge la problematica di verificare l’eventuale
lesione degli eredi c.d. legittimari, ovvero quei soggetti che hanno diritto ad
una quota di eredità intangibile (in primis coniuge e figli).
Va
ricordato che, in presenza di un immobile non divisibile, vale il disposto di
cui all’art. 720 c.c. secondo il quale detto bene va ricompreso per intero, con
addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi avente diritto alla
quota maggiore, o nelle porzioni di più coeredi se questi ne chiedano
l’attribuzione congiunta. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo
alla vendita all’incanto del bene. Il coerede può partecipare all’incanto e chiedere
l’aggiudicazione del bene previo pagamento del prezzo. Lo stesso parteciperà comunque
alla divisione del ricavato in qualità di coerede.
L’art.
757 c.c. prevede che ogni coerede è reputato solo e immediato successore in
tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche
per acquisto all’incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la
proprietà degli altri beni ereditari.
Nell’ipotesi
in cui un coerede abbia goduto in modo esclusivo di un bene facente parte della
comunione ereditaria dall’apertura della successione o financo in epoca
antecedente, è frequente che, nel momento in cui gli altri eredi chiedono la
divisione del compendio immobiliare, richiedano altresì il risarcimento per il
mancato godimento del bene rimasto nell’esclusiva disponibilità di uno solo di
essi. La Corte di Cassazione con la sentenza 34451/2018 ha affrontato questa
problematica, operando delle distinzioni.
In
primo luogo, la Suprema Corte ha affermato che andrà verificato se i frutti
siano stati effettivamente percepiti dal coerede che era nel possesso del bene
mediante l’utilizzo dell’immobile come bene economicamente produttivo (ad es. a
titolo di corrispettivo per la locazione) oppure se il coerede possessore abbia
fatto un utilizzo del bene in via esclusiva, abitandovi personalmente. Nel
primo caso, i frutti (ovvero le somme di denaro incassati dal coerede
possessore) andranno divisi tra tutti i comunisti. Nel caso invece in cui il
coerede possessore non abbia ceduto il godimento a terzi, ma lo abbia
utilizzato direttamente ed esclusivamente occorrerà operare un ulteriore
distinzione. Nel caso in cui gli altri coeredi abbiano chiesto la disponibilità
di utilizzare l’immobile in virtù del diritto di proprietà anche a loro
spettante e il coerede abbia negato il godimento, quest’ultimo dovrà risarcire
gli altri comunisti per la mancata disponibilità del bene. Nel diverso caso in
cui gli altri coeredi non abbiano invece formulato alcuna richiesta di
condivisione del godimento del bene non potranno pretendere alcunché in sede di
richiesta della divisione.
Si
segnala che l’art. 1110 c.c. stabilisce che il partecipante alla comunione, il
quale, in caso di trascuranza degli altri partecipanti, ha sostenuto spese
necessarie per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso.
Nella
comunione ereditaria (a differenza della comunione ordinaria) è previsto il
diritto di prelazione dei coeredi se uno di essi intende vendere la propria
quota ereditaria ad un terzo. L’art. 732 c.c. prevede infatti che il coerede
che vuole alienare ad un estraneo la propria quota o parte di essa, deve
notificare la proposta di alienazione, indicando il prezzo, agli altri coeredi,
i quali hanno diritto di prelazione, da esercitarsi nel termine di due mesi
dall’ultima delle notificazioni. In difetto di notifica, i coeredi hanno
diritto a riscattare la quota ceduta dall’acquirente e da ogni successivo
avente causa sino a quanto dura lo stato di comunione ereditaria.
Infine,
il soggetto che vuole promuovere un’azione di divisione ereditaria, ha
l’obbligo di esperire il preventivo tentativo di mediazione ex art. 5 d.lgs.
28/2010, costituendo detto passaggio una condizione obbligatoria per la
procedibilità della causa.
Alessandra Buzzavo
Maggio
2019




