Domanda di Concordato Preventivo cd. ‘in bianco’
Alcune considerazioni, dal lato del creditore, sull’istituto
La riforma del 2012 (D.L. 83/2012,
conv. in L. 134/2012) ha introdotto l’istituto, prima sconosciuto, della
domanda di concordato preventivo “con riserva” (art. 163 sesto comma Legge Fallimentare):
l’imprenditore deposita la domanda di concordato ma si riserva di presentare la
proposta ai creditori entro un termine compreso tra sessanta e centoventi
giorni, prorogabile di ulteriori sessanta. In sostanza, l’impresa chiede di
essere ammessa alla procedura di concordato preventivo, ma si riserva di
elaborare il piano (come realizzare l’attivo, come soddisfare i creditori) in
un termine che può arrivare sino a un massimo, proroga inclusa, di sei mesi (giorni
centottanta).
Questo è oggi lo strumento largamente
prevalente per l’accesso alla procedura di concordato, in quanto presenta per
l’imprenditore una serie di vantaggi:
v ottenere, con la semplice domanda
corredata di bilanci ed elenco dei creditori, una sorta di immediata moratoria,
e cioè un ombrello che preclude ai creditori qualsiasi azione, esecutiva o
cautelare, sui beni della propria impresa;
v consente all’impresa un tempo piuttosto
ampio per predisporre il piano;
v consente all’impresa di continuare a
svolgere le attività di ordinaria amministrazione, sia pure sotto la vigilanza
di un Commissario nominato dal Tribunale (essenzialmente con il compito di
vigilare che non siano compiuti atti pregiudizievoli ai creditori anteriori),
depositando con periodicità almeno mensile la situazione patrimoniale e finanziaria
dell’impresa, sottoposta alla verifica del Commissario Giudiziale e pubblicata
nel Registro delle Imprese.
Nel tempo della cosiddetta ‘riserva’
(da un minimo di sessanta sino ad un massimo di centottanta giorni) l’imprenditore
insolvente può ricercare le opportunità di allocazione degli assets, classificare i debiti, mettere a punto il piano concordatario che
dovrà essenzialmente articolarsi tra la fotografia del passivo, attraverso la
figura di un professionista attestatore indipendente, ed il previsto realizzo e
la ripartizione dell’attivo tra i creditori, secondo il grado di privilegio e
le classificazioni previste dal piano medesimo. Il piano e la proposta di
pagamento offerta ai creditori saranno poi sottoposti alla valutazione di
legittimità e fattibilità da parte del Tribunale ed alla approvazione dei
creditori medesimi, il cui voto avrà un peso proporzionale all’ammontare del
credito dagli stessi vantato verso l’impresa: entrambi detti passaggi sono
determinanti per la successiva approvazione e omologazione del concordato preventivo.
Se dal lato dell’impresa insolvente
l’intervallo di tempo che il Tribunale accorda per la presentazione del piano
costituisce un elemento quasi vitale per poter approdare ad una proposta da
formulare ai creditori, dal lato del creditore (sia esso fornitore,
privilegiato o chirografario), l’utilizzo diffuso di questo strumento presenta
una serie di risvolti negativi:
v il creditore, siano i relativi crediti
già scaduti o a scadere durante la moratoria della riserva, è paralizzato nello
svolgere qualsiasi azione di recupero: il suo credito è per così dire
‘congelato’, ‘frozen’;
v egli non ha immediata comunicazione su
ciò che accade dal lato del debitore, se non volontariamente fornita (di rado)
dall’impresa che presenta la domanda di concordato;
v egli è costretto a rimanere in attesa,
non avendo accesso né al piano che sarà in corso di elaborazione durante i mesi
della riserva, né ai dati dell’andamento della situazione finanziaria dell’impresa
durante i mesi suddetti, né avendo un diritto di ricevere trasparente
informazione dal Commissario e/o dagli organi gestori/amministrativi dell’impresa;
v nel contempo, il creditore dovrà
comunque registrare una situazione di incertezza e rischio sull’esigibilità del
credito, il quale resta comunque sospeso e, appunto, ‘congelato’ in attesa della
presentazione del piano e delle conseguenti valutazioni da parte del Tribunale;
v il creditore non ha sostanzialmente
strumenti di difesa di fronte a questo “muro di riservatezza” legittimamente eretto
dal creditore, ma deve subire i tempi di una semplice attesa di incerto esito.
La situazione poi, sempre vista dal
lato del creditore, con riguardo all’impresa insolvente che ha iniziato la
strada concordataria, appare di costante incertezza su ciò che potrà accadere:
il piano verrà tempestivamente presentato? presenterà davvero i requisiti di
legge? il Tribunale lo ammetterà o richiederà chiarimenti o precisazioni? il
Commissario che sarà nominato lo valuterà favorevolmente o meno? quale
percentuale sarà offerta ai creditori e quali i costi prededucibili e i privilegiati?
quale sarà quindi la possibilità di realizzo del credito?
Non ultimo, accade pure di frequente
che il piano non venga presentato, e la domanda venga ritirata. Accade addirittura
che ne venga presentata un’altra successiva: il Tribunale Fallimentare non ha infatti
potere di dichiarare d’ufficio il fallimento, in caso di mancata presentazione
o mancata ammissione al concordato preventivo, in quanto la relativa iniziativa
è demandata al Pubblico Ministero ed ai singoli creditori, che spesso sono
renitenti, per varie ragioni, a percorrerla, preferendo siano altri ad agire.
Insomma, un istituto, quello del concordato
preventivo ‘con riserva’ o ‘in bianco’, introdotto per giustificati motivi dal D.L. 83/2012 (consentire
un maggiore accesso alla procedura concordataria attraverso l’utilizzo di un
tempo tecnico sorvegliato per predisporre e presentare il piano) che però presenta
indubbie smagliature, essenzialmente in danno dei creditori dell’impresa in
difficoltà, ed assicura talvolta una protezione ingiustificata, ed
ingiustamente prolungata, al debitore impresa insolvente.
Marzo 2021
Chiara
Martin




