Cumulo della qualità di amministratore di società e di lavoratore subordinato
Una recente sentenza
della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro: la n. 22689 del 25 settembre 2018, ci offre lo “spunto” per
affrontare, sia pure a grandi linee, un argomento da sempre dibattuto, ma
sempre di attualità: il cumulo della
qualità di Amministratore di Società e di Dipendente della medesima Società.
Va subito detto che, da
sempre, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui, in linea
di diritto, le due posizioni sono compatibili
(con la sola esclusione dell’Amministratore Unico, in quanto sarebbe datore di
lavoro di sé stesso).
Al contempo, però, il
Supremo Collegio ha definito i presupposti per la configurabilità, in capo alla
medesima persona, sia di un rapporto di preposizione organica, quale
l’Amministratore, che di lavoro subordinato, di norma, di tipo dirigenziale.
Il primo ed essenziale di
tali presupposti è costituito dal cd. “vincolo
di subordinazione” e, cioè: l’assoggettamento del soggetto, nella sua veste
di dirigente al potere direttivo, di controllo e disciplinare da parte
dell’organo di amministrazione della società (di regola, collegiale: il
Consiglio di Amministrazione).
Così, la citata recente
sentenza della Corte di Cassazione ha statuito che:
“per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un
membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, ovvero
l’amministratore delegato, e la società stessa, è necessario che colui che
intende far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza
del vincolo della subordinazione e, cioè, l’assoggettamento, nonostante la
suddetta carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare
dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso”.
Nella specie esaminata
dalla Corte, una persona veniva, dapprima, nominata amministratore delegato e
presidente del comitato di gestione della società e, poco tempo dopo, concludeva
con la medesima azienda un contratto di lavoro subordinato, con qualifica di
dirigente.
Una volta cessati i
predetti rapporti, in modo ‘traumatico’, con un licenziamento disciplinare, il
dipendente (come sovente accade) chiedeva giudizialmente l’accertamento della
“insussistenza della giusta causa di recesso” dal rapporto di lavoro
subordinato, con conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento
dell’indennità sostitutiva del preavviso e dell’indennità supplementare
prevista dal C.C.N.L. Dirigenti.
Entrambi i Giudici di
merito (il Giudice del Lavoro del Tribunale e la Corte d’Appello) respingevano
la domanda del Dirigente sostanzialmente disconoscendo la sussistenza del
rapporto di lavoro subordinato per non aver lo stesso allegato e dimostrato la
ricorrenza, in concreto, dei presupposti per l’esistenza di tale tipo di
rapporto, osservando altresì come risultasse irrilevante ai fini qualificatori
il contratto di lavoro concluso inter
partes, in quanto simulato e stipulato ad esclusivi fini di copertura
assistenziale e previdenziale.
Contro al pronuncia della
Corte d’Appello territoriale, il Dirigente proponeva ricorso per cassazione.
Il Supremo Collegio, nel
rigettare il ricorso, enunciava anzitutto, il principio per cui può esservi
cumulabilità tra la carica di amministratore delegato e il rapporto di lavoro
subordinato di una stessa società di capitali, purchè si accerti l’attribuzione
di mansioni diverse da quelle proprie della causa sociale e il soggetto
interessato a far valere la natura subordinata del rapporto provi la
sussistenza del vincolo di ‘eterodirezione’ e ‘subordinazione’, nel senso sopra
specificato.
In sintesi, si può
concludere che, secondo il costante insegnamento della Corte di Cassazione, da
ultimo ribadito, i presupposti giuridici per la compatibilità dei due rapporti
sono:
a) l’attribuzione
e lo svolgimento, da parte del Dirigente, di mansioni diverse da quelle proprie
della carica sociale;
b) l’assoggettamento, nonostante la
carica sociale rivestita, del Dirigente al potere direttivo, di controllo e
disciplinare dell’organo di amministrazione della società (sussistenza in
concreto dei vincoli di ‘eterodirezione’ e di ‘subordinazione’).
In pratica, si dovrà, da un lato, porre attenzione ai poteri
conferiti all’Amministratore che, ad esempio, non dovranno prevedere:
- il potere di assumere, licenziare ed
esercitare il potere disciplinare nei confronti dei dirigenti;
- l’estensione di poteri direttivi e di
controllo all’area affidata al Dirigente
(anche se Direttore Generale);
- l’assunzione della veste di “datore di
lavoro” e “committente” ai sensi del d. lvo. n. 81/2008, in materia di
sicurezza;
-
ecc., ecc..
Dall’altro
lato
(quello del Dirigente), si dovrà prevedere:
- l’attribuzione di mansioni e funzioni,
nello svolgimento di attività di lavoro subordinato, diverse ed in “aggiunta a
quelle svolte in veste di amministratore (anche delegato)”;
- l’obbligo di riferire e rendere conto
all’organo di amministrazione in ordine al proprio operato ed allo svolgimento
di dette mansioni;
- l’assoggettamento al potere disciplinare
dell’organo di amministrazione della società.
Da ultimo, pare utile
sottolineare che l’azione di disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato
può riguardare non solo i rapporti fra le parti, bensì pure esser proposta
dall’Ente previdenziale (ora INPS ed, in passato, INPDAI, più ‘attivo’ sulla
questione) che, a seguito di verifica, può avere interesse a disconoscere la
posizione contributiva del soggetto interessato ed il conseguente diritto alla
pensione, con restituzione dei contributi versati.
Paolo
Ferraresi




